La prima nobile verità
Il viaggio dell’esistenza, apparentemente interminabile, verso la ricerca di una soluzione, sottoposti alla vecchiaia, alla malattia, incapaci di fermare il tempo, di governare i fenomeni naturali, la fragilità del corpo fisico e la vulnerabilità della mente, ci conducono a sperimentare la prima nobile verità enunciata dal Buddha. Non si tratta di appartenere ad una qualche religione, nessun Buddha è una religione, ma tutti i Buddha hanno realizzato la propria illuminazione partendo dalla stessa consapevolezza, comprendendo profondamente attraverso l’esperienza diretta che ogni essere vivente in questa dimensione duale che non sia completamente risvegliato, è soggetto alla sofferenza.
Quando raggiungiamo la consapevolezza della sofferenza si aprono a noi infinite possibilità. Quello che diciamo interiormente, quell'io soffro, enuncia ancora di più la verità che si nasconde dietro la sofferenza. “Soffro ‘IO’”.
Capiamo che quello che sta soffrendo è la proiezione dell’“io sono” che abbiamo dato alla nostra identità; soffrire è una condizione che per natura non ci appartiene ma appartiene all’io cosciente. Capiamo bene che non si tratta di una favoletta newage ma dell’esperienza direttamente sperimentata da tutti i Buddha che sono passati in questa dimensione.
Liberarsi dalla sofferenza significa quindi ricordare la nostra vera origine, è un esercizio che lentamente genera una rimembranza fino al completo dissolvimento dell’identità fittizia. Per fare ciò è però necessario passare attraverso l’insite della sofferenza, letteralmente essere illuminati da un lampo di verità. La nobile verità della sofferenza che, come un tuono, scandisce dentro di noi le parole “Io soffro”.
Una persona molta consapevole che abbia quindi sviluppato un alto grado di osservazione della realtà non vi nasconderà mai ciò che ha realmente scoperto. Sempre che non abbia raggiunto lo stato oltre la sofferenza, quindi conosciuto l’esperienza non concettuale del Nirvana, sarà pronto a dichiarare la propria sofferenza con un grande sorriso sul volto. Il maestro è colui che vive la sofferenza come opportunità di illuminazione e non come qualcosa di negativo che debba necessariamente essere debellato. Lo scopo non è quello di eliminare la sofferenza ma al contrario dobbiamo sentire la verità che la anima e cioè la profonda connessione con quella parte di noi che crediamo di essere e che definiamo “IO”.
Sono io che soffro e sono io che scelgo di soffrire scegliendo di essere una piccola parte del tutto e non il tutto in una piccola parte (pars pro toto).
Ecco la fondamentale scoperta sulla sofferenza umana, sapere che c’è sofferenza in ogni piccola parte separata e riconoscere che non c’è sofferenza in quelle parti che ci appaiono unite alla molteplicità, come possiamo notare nella natura, nei fiori, in ciò che scorre fluendo con le stagioni. Oppure, come ci ricordano le antiche scritture, scorgere questa sofferenza in tutti gli esseri viventi perché soggetti al ciclo di morte e rinascita, (Samsara).
L’arresa completa alla ciclicità e quindi alla morte non appartiene all'IO, non è cosa concepibile per l’ego, si tratta di una sconfitta. Osservare l’impermanenza è per l’io una condanna, c’è paura in ciò che finisce, si sente l’odore della morte e non la gloria dell’onnipotenza. L’io è assorbito dal potere materiale, la concretezza della materia lo rassicura, vuole montagne di ricchezza come garanzia, senza accorgersi di scivolare in una nevrosi, la scissione di due parti opposte, una che si identifica con l’illusione della permanenza e l’altra che invece è destinata a cambiare. "L’uomo che non riconosce la sofferenza sta degenerando verso una schizofrenia".
E' bene dunque per prima cosa, una volta aver raggiunto questa consapevolezza, ricordare all’io cosciente la sua realtà assoluta, la prima nobile verità: la verità della sofferenza. Questo ci aiuta ad evolvere verso una genuina relazione con la natura, sentendo che questa sofferenza è dovuta ad una dimenticanza che ci ha allontanato dalla nostra madre autentica.
La radice della sofferenza
La sofferenza nasce principalmente da una condizione naturale, questa riguarda il corpo fisico, così fragile e sottoposto alle condizioni esterne, protetto solamente da una sottile membrana che è la pelle. Il corpo comunica le proprie necessità e si fa mediatore tra la superficie e l’abisso. Questo significa che ogni sensazione percepita sul corpo è l’indicazione che qualcosa in noi sta cambiando sia superficialmente che profondamente, nell’inconscio.
La sofferenza si traduce quindi attraverso questo continuo processo che si alimenta per mezzo della struttura sensoriale.
Tutto il corpo in ogni sua piccola parte reagisce agli impulsi sensoriali per mezzo del contatto di questi con il mondo esterno. La parte superficiale che reagisce è come la superficie del mare, costantemente in un movimento, costantemente in un cambiamento. La parte che invece si trova in profondità è anch'essa in movimento ma non possiamo sentirla fin quando ci troviamo in superficie. Tutto questo reagire è naturale, fa parte della condizione umana, finchè c'è contatto tra i sensi e il mondo esterno ci sarà una reazione.
Se versi della benzina sul fuoco questo reagirà con una vistosa fiammata ma tu non riuscirai a bruciarti perchè ti troverai ad uno distanza specifica dalla condizione che ha generato quel tipo di reazione. La stessa cosa avviene tra te e quella parte di te che reagisce: finchè sarai identificato con quella parte, ciò che sentirai dentro lo tradurrai con il termine sofferenza.
Il corpo è uno strumento di apprendimento, come una lastra fotografica imprime su di esso segni e piccoli impulsi che provengono da molto più lontano. Più sei identificato con il tuo corpo più forte sarà la comunicazione. Maggiore è la distanza tra quello che veramente sei e quello che credi di essere e minore sarà la sofferenza che potrai avvertire da ciò che stai osservando. Di conseguenza, spero tu lo abbia intuito, devi scoprire quello che sei veramente.
Tutto questo processo si innesta con la pratica e si comincia a sperimentare effettivamente attraverso l'insite della sofferenza cioè intuire profondamente la verità su di essa. Una volta che hai illuminato la sofferenza comincerai a sperimentare il distacco dall'io egoico. Conseguentemente ciò che emergerà sarà la verità.
Il contatto genera sofferenza soltanto se tu gli dai importanza, se lo rendi per te vitale. Senza un sufficiente apporto di energia ogni contatto tra il mondo esterno e l'apparato sensoriale perde il suo potere e finisce per diventare quello che realmente è: un processo naturale tra mente e materia.
L'esperienza di realizzazione più alta in questa dimensione non coinvolge affatto i sensi ma al contrario li trascende, si tratta di un processo di rivoluzione completa dell'intera struttura atomica.
Il corpo, quale strumento di esperienza, è destinato ad essere lasciato andare; così anche ogni parte di te che chiami per nome, compresa quella strana immagine che guardi allo specchio e con la quale ti identifichi.
- Io soffro perché tutto in me reagisce, sono una bestia non domata, sono il mio peggior nemico, colui che si auto infligge il dolore, che non conosce il modo per fermarlo. Io sono il guardiano della superficie, vedo solo grandi ode che si infrangono lungo la spiaggia del mio vivere. Io sono colui che si ostina a rinascere perché non capisce, perché è pieno di concetti, di immagini, di contenuti inutili. Io sono il vuoto che negli eoni si è riempito, sono saturo di me stesso, impossibilitato a superare la forza di gravità. Io sono il capriccio di un bambino che continua a grattarsi le ferite, sono solo e vedo solo quello voglio vedere. Io soffro perché non ho capito e non voglio che mi si spieghi -.
Quando si parla di sofferenza del corpo si parla di sofferenza psicologica. Credere di provare dolore dal corpo è soltanto una percezione superficiale: il dolore è sempre legato alla mente, alla relazione tra mente e materia.
Questa sofferenza come ci ricorda Hillman si relaziona con il visibile ma anche con ciò che non vediamo. Da sempre la relazione tra visibile e invisibile ci aiuta in questa ricerca. Ancora ci fa notale Hillman a proposito della sofferenza di Gesù sul Golgota: nella condizione dove il Cristo perde il contatto con l'invisibile perchè sopraffatto dalla materia cadendo di conseguenza nel dubbio. La perdita della spiritualità o relazione con ciò che non vediamo ma intuiamo, ci annienta. Una sofferenza che non è possibile sopportare perchè insensata cioè priva di Spirito.
La crescita interiore di un individuo si misura proprio da questa capacità di relazione. Siamo messi di fronte un'enorme sfida di sopportazione; non a caso nella pratica meditativa troviamo nelle dieci qualità della mente (parami) la "ferma e serena sopportazione", equanimità (upekka).
Senza riconoscere la verità della sofferenza non potremmo neppure sviluppare tolleranza, perchè incapaci di riconoscerla in noi stessi. Infatti, la pericolosa scissione della mente si riconosce proprio da questa zona d'ombra dove nascondiamo alla nostra parte cosciente, la verità più profonda.
Molte persone viaggiano nel proprio corpo su questa dimensione senza alcun contatto con la verità; la loro preoccupazione principale riguarda la necessità di produrre sensazioni piacevoli, si illudono che attraverso il raggiungimento di un qualche obbiettivo terreno possano limitare la sopportazione della sofferenza. Principalmente non vedono la nobile verità, credono che la sofferenza sia una conseguenza di una condizione materiale sconveniente.
Ecco la schizofrenia in cui sta precipitando la società contemporanea; letteralmente scissa tra la verità e la menzogna, tra il piacere e il dolore, incapace di riconoscere in entrambi la nobile verità della sofferenza.
E' bene quindi, per divenire di animo nobile, cominciare ad allentare la morsa e lasciarsi cadere nella verità; in essa troveremo riparo, non dovremo più fingere di essere immortali, al contrario, serenamente consapevoli della ciclicità che rappresenta la natura di tutte le cose, compreso il nostro tanto amato e osannato corpo.
Quando raggiungiamo la consapevolezza della sofferenza si aprono a noi infinite possibilità. Quello che diciamo interiormente, quell'io soffro, enuncia ancora di più la verità che si nasconde dietro la sofferenza. “Soffro ‘IO’”.
Capiamo che quello che sta soffrendo è la proiezione dell’“io sono” che abbiamo dato alla nostra identità; soffrire è una condizione che per natura non ci appartiene ma appartiene all’io cosciente. Capiamo bene che non si tratta di una favoletta newage ma dell’esperienza direttamente sperimentata da tutti i Buddha che sono passati in questa dimensione.
Liberarsi dalla sofferenza significa quindi ricordare la nostra vera origine, è un esercizio che lentamente genera una rimembranza fino al completo dissolvimento dell’identità fittizia. Per fare ciò è però necessario passare attraverso l’insite della sofferenza, letteralmente essere illuminati da un lampo di verità. La nobile verità della sofferenza che, come un tuono, scandisce dentro di noi le parole “Io soffro”.
Una persona molta consapevole che abbia quindi sviluppato un alto grado di osservazione della realtà non vi nasconderà mai ciò che ha realmente scoperto. Sempre che non abbia raggiunto lo stato oltre la sofferenza, quindi conosciuto l’esperienza non concettuale del Nirvana, sarà pronto a dichiarare la propria sofferenza con un grande sorriso sul volto. Il maestro è colui che vive la sofferenza come opportunità di illuminazione e non come qualcosa di negativo che debba necessariamente essere debellato. Lo scopo non è quello di eliminare la sofferenza ma al contrario dobbiamo sentire la verità che la anima e cioè la profonda connessione con quella parte di noi che crediamo di essere e che definiamo “IO”.
Sono io che soffro e sono io che scelgo di soffrire scegliendo di essere una piccola parte del tutto e non il tutto in una piccola parte (pars pro toto).
Ecco la fondamentale scoperta sulla sofferenza umana, sapere che c’è sofferenza in ogni piccola parte separata e riconoscere che non c’è sofferenza in quelle parti che ci appaiono unite alla molteplicità, come possiamo notare nella natura, nei fiori, in ciò che scorre fluendo con le stagioni. Oppure, come ci ricordano le antiche scritture, scorgere questa sofferenza in tutti gli esseri viventi perché soggetti al ciclo di morte e rinascita, (Samsara).
L’arresa completa alla ciclicità e quindi alla morte non appartiene all'IO, non è cosa concepibile per l’ego, si tratta di una sconfitta. Osservare l’impermanenza è per l’io una condanna, c’è paura in ciò che finisce, si sente l’odore della morte e non la gloria dell’onnipotenza. L’io è assorbito dal potere materiale, la concretezza della materia lo rassicura, vuole montagne di ricchezza come garanzia, senza accorgersi di scivolare in una nevrosi, la scissione di due parti opposte, una che si identifica con l’illusione della permanenza e l’altra che invece è destinata a cambiare. "L’uomo che non riconosce la sofferenza sta degenerando verso una schizofrenia".
E' bene dunque per prima cosa, una volta aver raggiunto questa consapevolezza, ricordare all’io cosciente la sua realtà assoluta, la prima nobile verità: la verità della sofferenza. Questo ci aiuta ad evolvere verso una genuina relazione con la natura, sentendo che questa sofferenza è dovuta ad una dimenticanza che ci ha allontanato dalla nostra madre autentica.
La radice della sofferenza
La sofferenza nasce principalmente da una condizione naturale, questa riguarda il corpo fisico, così fragile e sottoposto alle condizioni esterne, protetto solamente da una sottile membrana che è la pelle. Il corpo comunica le proprie necessità e si fa mediatore tra la superficie e l’abisso. Questo significa che ogni sensazione percepita sul corpo è l’indicazione che qualcosa in noi sta cambiando sia superficialmente che profondamente, nell’inconscio.
La sofferenza si traduce quindi attraverso questo continuo processo che si alimenta per mezzo della struttura sensoriale.
Tutto il corpo in ogni sua piccola parte reagisce agli impulsi sensoriali per mezzo del contatto di questi con il mondo esterno. La parte superficiale che reagisce è come la superficie del mare, costantemente in un movimento, costantemente in un cambiamento. La parte che invece si trova in profondità è anch'essa in movimento ma non possiamo sentirla fin quando ci troviamo in superficie. Tutto questo reagire è naturale, fa parte della condizione umana, finchè c'è contatto tra i sensi e il mondo esterno ci sarà una reazione.
Se versi della benzina sul fuoco questo reagirà con una vistosa fiammata ma tu non riuscirai a bruciarti perchè ti troverai ad uno distanza specifica dalla condizione che ha generato quel tipo di reazione. La stessa cosa avviene tra te e quella parte di te che reagisce: finchè sarai identificato con quella parte, ciò che sentirai dentro lo tradurrai con il termine sofferenza.
Il corpo è uno strumento di apprendimento, come una lastra fotografica imprime su di esso segni e piccoli impulsi che provengono da molto più lontano. Più sei identificato con il tuo corpo più forte sarà la comunicazione. Maggiore è la distanza tra quello che veramente sei e quello che credi di essere e minore sarà la sofferenza che potrai avvertire da ciò che stai osservando. Di conseguenza, spero tu lo abbia intuito, devi scoprire quello che sei veramente.
Tutto questo processo si innesta con la pratica e si comincia a sperimentare effettivamente attraverso l'insite della sofferenza cioè intuire profondamente la verità su di essa. Una volta che hai illuminato la sofferenza comincerai a sperimentare il distacco dall'io egoico. Conseguentemente ciò che emergerà sarà la verità.
Il contatto genera sofferenza soltanto se tu gli dai importanza, se lo rendi per te vitale. Senza un sufficiente apporto di energia ogni contatto tra il mondo esterno e l'apparato sensoriale perde il suo potere e finisce per diventare quello che realmente è: un processo naturale tra mente e materia.
L'esperienza di realizzazione più alta in questa dimensione non coinvolge affatto i sensi ma al contrario li trascende, si tratta di un processo di rivoluzione completa dell'intera struttura atomica.
Il corpo, quale strumento di esperienza, è destinato ad essere lasciato andare; così anche ogni parte di te che chiami per nome, compresa quella strana immagine che guardi allo specchio e con la quale ti identifichi.
- Io soffro perché tutto in me reagisce, sono una bestia non domata, sono il mio peggior nemico, colui che si auto infligge il dolore, che non conosce il modo per fermarlo. Io sono il guardiano della superficie, vedo solo grandi ode che si infrangono lungo la spiaggia del mio vivere. Io sono colui che si ostina a rinascere perché non capisce, perché è pieno di concetti, di immagini, di contenuti inutili. Io sono il vuoto che negli eoni si è riempito, sono saturo di me stesso, impossibilitato a superare la forza di gravità. Io sono il capriccio di un bambino che continua a grattarsi le ferite, sono solo e vedo solo quello voglio vedere. Io soffro perché non ho capito e non voglio che mi si spieghi -.
Quando si parla di sofferenza del corpo si parla di sofferenza psicologica. Credere di provare dolore dal corpo è soltanto una percezione superficiale: il dolore è sempre legato alla mente, alla relazione tra mente e materia.
Questa sofferenza come ci ricorda Hillman si relaziona con il visibile ma anche con ciò che non vediamo. Da sempre la relazione tra visibile e invisibile ci aiuta in questa ricerca. Ancora ci fa notale Hillman a proposito della sofferenza di Gesù sul Golgota: nella condizione dove il Cristo perde il contatto con l'invisibile perchè sopraffatto dalla materia cadendo di conseguenza nel dubbio. La perdita della spiritualità o relazione con ciò che non vediamo ma intuiamo, ci annienta. Una sofferenza che non è possibile sopportare perchè insensata cioè priva di Spirito.
La crescita interiore di un individuo si misura proprio da questa capacità di relazione. Siamo messi di fronte un'enorme sfida di sopportazione; non a caso nella pratica meditativa troviamo nelle dieci qualità della mente (parami) la "ferma e serena sopportazione", equanimità (upekka).
Senza riconoscere la verità della sofferenza non potremmo neppure sviluppare tolleranza, perchè incapaci di riconoscerla in noi stessi. Infatti, la pericolosa scissione della mente si riconosce proprio da questa zona d'ombra dove nascondiamo alla nostra parte cosciente, la verità più profonda.
Molte persone viaggiano nel proprio corpo su questa dimensione senza alcun contatto con la verità; la loro preoccupazione principale riguarda la necessità di produrre sensazioni piacevoli, si illudono che attraverso il raggiungimento di un qualche obbiettivo terreno possano limitare la sopportazione della sofferenza. Principalmente non vedono la nobile verità, credono che la sofferenza sia una conseguenza di una condizione materiale sconveniente.
Ecco la schizofrenia in cui sta precipitando la società contemporanea; letteralmente scissa tra la verità e la menzogna, tra il piacere e il dolore, incapace di riconoscere in entrambi la nobile verità della sofferenza.
E' bene quindi, per divenire di animo nobile, cominciare ad allentare la morsa e lasciarsi cadere nella verità; in essa troveremo riparo, non dovremo più fingere di essere immortali, al contrario, serenamente consapevoli della ciclicità che rappresenta la natura di tutte le cose, compreso il nostro tanto amato e osannato corpo.
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