Il termine lavoro proviene dal latino "labor" che letteralmente significa “fatica"; in altri contesti dialettici è di uso ancora oggi chiamarlo con il termine "travaglio" dal latino tripalium "strumento di tortura".
Il lavoro veniva inflitto agli schiavi e alle persone ritenute colpevoli di essere andate contro le regole del sistema. Per molti secoli è stato sinonimo di schiavitù; nel medioevo il lavoratore era un servo della gleba, i servi erano legati per tutta la vita al padrone, subordinati per ordine gerarchico.
Non si capisce dopo quale strana affabulazione, nel tempo il lavoratore acquistò una sorta di eleganza, un velato rispetto che gli conferì una dignità contraffatta dalla stessa matrice di provenienza. Il lavoro assunse così un ruolo centrale nella vita delle persone; diventò per così dire lo strumento di sopravvivenza senza il quale un individuo non riuscirebbe a sentirsi libero.
Dipendenti
Dopo alcuni mesi di disoccupazione le persone cominciano a soffrire sintomi depressivi, spossatezza, disturbi del sonno etc. Tecnicamente possiamo dire che: se non fatichi non esisti, sei escluso perchè non produci come gli altri, sei diverso quindi inutile. Il sistema è strutturato in modo tale da rendere le persone un oggetto, e questa percezione si può ben sentire quando timbriamo il cartellino.
Dobbiamo cercare di sentirci, cioè sentire da dentro, quello che sta succedendo nel momento in cui ci alziamo per andare in un luogo che non abbiamo scelto ma che ci è stato imposto da una coercitiva spinta del sistema. Cosa potrà mai succedermi se decido di cambiare la mia scelta a partire da ora? "Senza lavoro sono finito", questo è quello che dice un uomo a se stesso quando teme di poter perdere il “proprio" lavoro. Da un certo punto di vista la paura del cambiamento per molte persone genera un comando inconscio il quale è talmente potente da modificare l'intera struttura psicofisica, e questo avviene a causa del senso d'importanza che abbiamo dato al sistema-matrice, credendo in questo modo di conquistarci un posto di privilegio nel quale trovare riparo e protezione.
Ho potuto sperimentare direttamente che oltre il limite della paura si trova il "non senso", in questo territorio l'uomo si rigenera, perde la propria identità fittizia. Superato il limite della paura del non adattamento, si sperimenta qualcosa di unico e creativo; un'esperienza che ci mette in contatto con il nucleo dell'esistenza. Una volta che tutto è andato perduto, rimane comunque qualcosa di inafferabile; ciò che rimane ha forza creativa, da questa forza può emergere qualcosa di nuovo.
La profonda crisi che l'uomo occidentale sta vivendo è una crisi spirituale e contemporaneamente una crisi del lavoro. La tanto ricercata mano d'opera che era cosi centrale durante l'epoca industriale, oggi trova mani meccaniche a sostituirla, l'individuo perde valore, le macchine acquistano potere sull'uomo, la classe dirigente è ormai d'importanza strategica, il mondo si sta spaccando in due: da una parte si trovano i ricchi dall'altra i poveri.
Ciononostante una massa spaventosa di persone ogni giorno si alza meccanicamente, si veste in modo tale da far notare il meno possibile il proprio conflitto, e senza neppure rendersene conto si ritrova a fare “cose" senza sapere il perché.
Il lavoro è il più grande inganno che l'uomo potesse fare a se stesso è la trappola per topi più grande mai esistita.
La morte della creatività
Il lavoro uccide la creatività, tutto quello che possiamo chiamare lavoro non ha nulla a che fare con il nostro lato creativo. Se state creando allora non state lavorando, è molto semplice, e nel fare ciò siete molto fortunati.
La creatività è un aspetto nobile dell'essere umano; si lega all'intuizione e produce straordinari risultati; non andrebbe inquinata in nessun modo con la competizione, altrimenti rischiereste di ricadere nuovamente nella logica del lavoro. Lavorare è fare prima possibile: produrre in modo eccellente e nel minor tempo, per far si che i prezzi possano continuare a salire. Creare invece è uno stato di dimenticanza, una condizione di presenza e benedizione. L'arte è intrinseca nell'essere umano, basta guardare i disegni dei bambini e metterli a confronto con le grandi opere moderne. I veri artisti hanno mantenuto quella purezza infantile che gli permette di potersi totalmente esprimere.
La creatività è quindi la nostra risorsa principale, la linfa dalla quale si nutre il grande albero. Grazie alla creatività possiamo uscire da questo enorme inganno e ricominciare a giocare con la vita, mantenendo acceso lo stupore per il creato.
Abbiamo quindi un punto fermo nel mezzo di questo magma: “sviluppare creatività ed intuizione" per non morire o meglio, per non lasciarci morire, per evitare di spegnerci come delle candeline al vento. Cominciare da subito a sentirsi creativi, produrre partendo da se stessi idee di immagini, immagini che suscitano nuove idee e così all'infinito, fino a creare la nostro antidoto al sistema. Divenire se stessi, interrompere il monologo interiore che continua a ripeterci come un disco rotto: tu non siamo in grado di farlo.
Lasciare il proprio lavoro solo perché abbiamo capito la grande minaccia d'infelicità che vi si nasconde, non è cosa da tutti. Ma cominciare a valutare seriamente una scelta del genere non fa che accrescere la nostra capacità creativa. E' necessaria una giusta pressione, uno stato ideale al cambiamento, e questo deve venire dall'interno, come la lava incandescente di un vulcano.
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